Si, siamo rossi di rabbia.
Perché la Ferrari rientra in quelle cose in cui l’Italiano si identifica, quelle che nonostante tutto che facciano bene o male, nessuno si deve permettere di toccare.
La Ferrari è l’Italia.
La Storia che diventa orgoglio e la certezza alla quale ci si attacca quando si vacilla.
Ha sempre rappresentato la continuità, l’affidabilità, l’identità, la vittoria.
E nel corso degli anni può vacillare uno di questi fattori ma quando tutti insieme vengono a mancare allora si attacca la Passione di chi ancora oggi, in modo un po’ disilluso, aspetta che sfrecci per primo il cavallino rampante sotto la bandiera a scacchi.
C’era una cosa che stupiva della Ferrari: la Squadra.
La capacità del gruppo di costruire un meccanismo talmente perfetto da mettere sotto pressione anche il più grande Campione, di esaltarne le capacità o di ridimensionarlo a categoria inferiore. Potevi essere Prost o Schumacher, oggi Vettel e Leclerc al box sapevi che non si sbagliava un colpo, che al muretto la strategia sarebbe stata quasi sempre perfetta.
Maranello rappresentava la destinazione ultima, la capitale nella quale andare a vivere stabilirsi, la meta ambita da ogni pilota, meccanico, ingegnere che ama le corse, il punto più alto del successo, la vittoria della carriera.
La Ferrari non subiva le regole, le scriveva.
Anche quando non otteneva successi, anche quando altri scrivevano la storia dello Sport, la Rossa costituiva una garanzia di competitività.
Era la rappresentazione del successo e dell’eccellenza, era ciò che non poteva essere raggiunto. Perché se volevi essere il migliore dovevi superare l’esame Ferrari.
E allora siamo Rossi di rabbia. Perché l’anonimato non è lo spazio in cui deve correre la Ferrari, in cui l’Italia nella sua rappresentazione di orgoglio deve essere riconosciuta.
La Ferrari rappresentava l’eccezione di lusso che conferma l’incapacità di questo paese di riuscire a fare sistema. Oggi ne è la perfetta metafora dove le tradizioni vengono vissute come demoni e le identità non reggono l’urto dei cambiamenti.
La Ferrari deve il suo successo alla vittoria che diventa lusso, lusso che si costituisce stupore, stupore che si identifica in un colore vivo e non neutro. E la vittoria è alla base della notorietà ed alla base della continuità del successo fuori dalla pista.
Se manca, se partecipi ma non provi a vincere, diventi uno dei tanti, al box ed al salone.
Rientro nella categoria degli esigenti, di chi vuole la Ferrari sempre sul podio, di chi crede che non ci si possa accontentare, e che lo si debba fare con rabbia e intelligenza, con talento e efficienza.
Sono uno degli appassionati che detestano il torpore della mediocrità, perché se sei la Ferrari non puoi guardare gli altri dal basso verso l’alto.