Come poteva finire la carriera professionistica di Roger Federer se non con un incontro perso dopo un match point a favore? Anche la presenza della sua nemesi Rafael Nadal in campo insieme a lui non gli ha impedito di cadere vittima del tranello psicologico che gli è costato le più cocenti sconfitte della sua carriera (contro Djokovic in primis a Wimbledon 2019 ma anche agli US Open 2010 e 2011, contro lo stesso Nadal a Roma 2006).
Federer infatti rappresenta unanimemente il tennista tecnicamente perfetto e dà sempre l’impressione di essere quasi avulso dal contesto agonistico in cui si muove con le sue esultanze composte fatte di soli pugnetti alzati, i suoi rari “come on”, la sua sudorazione praticamente assente, la sua eleganza nelle movenze, nel vestire, nelle dichiarazioni fuori dal campo.
Nell’immaginario collettivo a queste caratteristiche si abbina solitamente la freddezza mentale e quindi la capacità quasi robotica di far lavorare al meglio la propria tecnica sopraffina anche nei momenti decisivi in cui “gli umani” vacillano.
E invece Federer sconfessa completamente questo assunto, mostrandosi vulnerabile nei momenti in cui dovrebbe chiudere le partite. Ciò emerge più chiaramente quando è al servizio, un colpo solitamente fenomenale per Federer e che non è influenzato dall’avversario (un po’ come un tiro libero nel basket) e che invece ha tradito l’elvetico in alcuni dei punti più importanti della sua carriera.
L’amore dei tifosi
Se sono quindi le vittorie ad averlo reso celebre, sono le sconfitte che l’hanno reso umano e quindi paradossalmente ancora più amato a livello planetario.
I suoi match point falliti e le sue lacrime sono come il rigore sbagliato da Baggio nel ’94: se da un lato gli hanno impedito di diventare ancor più grande in termini di vittorie, dall’altro l’hanno fortemente avvicinato alla gente che lo ha se possibile coccolato ancor di più (basti dire che ha vinto per diciannove – 19! – volte consecutive dal 2003 al 2021 il premio come tennista più amato dai tifosi). Non è in fondo questo un risultato ancora maggiore? Avremmo davvero avuto un’impressione ancora migliore di Federer se avesse vinto anche quelle partite?
Le vittorie sono già innumerevoli e bastano comunque a consacrarlo come uno dei più grandi tennisti della storia, e allora l’emozione e l’affetto dei tifosi del mondo intero forse valgono qualcosa in più.
Federer ha davvero messo d’accordo tutti, da Shanghai a New York, da Melbourne a Dubai, e non esiste uno sportivo nel nuovo millennio con un livello tale di affezione da parte di tifosi di culture così differenti, tanto da sfiorare l’idolatria. Anche quando giocava contro un tennista di casa è sempre stato difficile ovunque tifare contro Roger Federer.
La sua popolarità è tale da travalicare anche i confini di chi segue il tennis e lo sport in generale, tanto da essere noto anche a chi non ne ha mai visto una partita, e le persone vanno a vedere il tennis solo per vedere, o sperare di vedere, giocare lui (io stesso nel 2019 comprai tre biglietti per tre sessioni serali consecutive del torneo di Roma solo per poterlo vedere dal vivo, consapevole che sarebbe potuta essere l’ultima volta, missione fallita).
Come gli addii di altri campioni dello sport poi, vederlo lasciare il tennis dà l’immagine del tempo che passa inesorabile per tutti. Per molti che l’hanno visto da bambini battere Sampras e da adulti fatti e finiti perdere malamente da Hurkacz sullo stesso prato vent’anni dopo, non è mai esistito il tennis senza Federer.
La rivalità “gentile”
Un altro aspetto in cui Federer ha ribaltato i canoni comuni è il rapporto con i propri rivali. Sia per Djokovic che per Nadal, Federer coltiva un profondo rispetto, peraltro reciproco, ma ciò non ha impedito loro di creare incontri leggendari in cui i contendenti si sono battuti fino all’ultima goccia di sudore.
In uno sport così fondato sullo scontro psicologico come il tennis, Federer ci dimostra che si può rincorrere il miglioramento di sé stessi senza necessariamente dover identificare i propri avversari come nemici e che si può desiderare ardentemente di vincere senza dover passare dall’annichilimento del rivale.
Dentro una narrazione dello sport sempre più imperniata sullo scontro fra singoli personaggi e dentro i meccanismi dei social che generano sempre di più delle fazioni estreme di haters e fan (di cui sono vittima anche i loro stessi tifosi), la mano che Federer e Nadal si stringono in lacrime ci mostra un’altra possibile via quasi amorevole di vivere un’eccezionale rivalità sportiva, senza che quest’ultima perda la sua grandezza.
L’arte non si ritira
L’ultimo tassello su cui Federer ha costruito la propria leggenda, ma anche il primo in ordine temporale e di importanza, è la sua perfezione tecnica.
Non è di certo questo articolo a dover rivelare questo aspetto, basta guardare una sua partita per comprendere come possa fare cose che gli altri non fanno, e soprattutto in tempi sconosciuti ai suoi colleghi (le sue proverbiali stecche di rovescio lo dimostrano più di quanto non lo facciano i colpi perfettamente riusciti).
Per molti suoi sostenitori le sue partite assurgono ad una vera e propria forma d’arte, mentre molti giocatori non nascondono di aver iniziato a giocare ispirati da lui.
Se lo sport può essere paragonato ad un’esibizione artistica è perché esistono atleti come Roger Federer e l’arte ha la caratteristica di perdurare nel tempo. L’arte infatti si ammira ma si copia anche, e chiunque abbia mai calcato un campo da tennis non può resistere alla tentazione di provare ad emulare uno dei suoi colpi, dal dritto al servizio, dal rovescio alla volée, nonostante i risultati talvolta disastrosi.
Perché se è vero che il maestro svizzero ora si è ritirato, sui campi di tutto il mondo, tramite tutti i suoi allievi immaginari, quando non ve l’aspettate, Roger Federer ritornerà.