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Ribot e l’ippica: una storia d’amore

Un Paese che guardò al futuro dagli occhi di un cavallo leggendario

L’Italia è piena di grandi sognatori e riusciamo a emergere nel panorama mondiale con le nostre eccellenze nei più disparati campi: cucina, sartoria, letteratura, sport. Soprattutto quest’ultimo, nei momenti più bui della storia del nostro Bel Paese, ci ha risollevato grazie a un atleta che ha ricordato quanto possa essere forte il cuore di un italiano.

Possiamo andare indietro nel tempo, con Sara Simeoni, medaglia d’oro nell’atletica ai Giochi olimpici di Mosca 1980, oppure spostarci in montagna con Alberto Tomba, protagonista indiscusso dello sci alpino. Abbiamo nuotato con Federica Pellegrini (soprannominata non a caso La Divina), o ancora, per avvicinarci a oggi, siamo scesi in campo a Melbourne con Jannik Sinner e abbiamo esultato con lui per il suo primo Grande Slam. E potrei veramente continuare all’infinito, includendo anche grandi allenatori e atleti di sport meno seguiti (aggiungerei purtroppo).

Come ho già detto, siamo un popolo di sognatori, ma anche di dialetti e tradizioni, litighiamo e la metà delle volte non siamo d’accordo, ma poi tornano puntualmente questi meravigliosi ragazzi a riappacificarci e a tenerci incollati agli schermi con il fiato sospeso.

Ed ecco quindi perché, tanti anni fa, ci siamo uniti anche intorno a un altro campione, questa volta a quattro zampe. Sto parlando del grande purosangue da corsa Ribot.

Andiamo a scavare più a fondo.

L’ippica italiana

Nel nostro Paese, l’istituzionalizzazione delle corse al trotto e al galoppo è arrivata solamente in seguito all’Unità d’Italia. Perciò, la cultura ippica si è affermata molto tardi rispetto ad altri Paesi, come l’Inghilterra, in cui già nel 1400 troviamo le prime corse “certificate” e nel 1700 l’istituzione del primo “Jockey Club”.

Non fraintendetemi, le corse al galoppo erano sempre state comuni tra i nobili nell’800, ma erano senza premi e organizzate in campagna. Dobbiamo, invece, aspettare fino al 1835 per vedere la prima “Società di corse”, a cui aderisce anche il conte Camillo Benso di Cavour. Verso la fine del secolo verrà, poi, pubblicato il libro genealogico dei purosangue e istituito il Derby Reale. Così, nel 1881, nasce il Jockey Club d’Italia e tre anni dopo viene corso il primo Derby di galoppo all’ippodromo delle Capannelle, a Roma. Il trotto, invece, rimarrà in disparte fino al 1885, con l’istituzione della “Consociazione ippica italiana” che darà vita al libro genealogico del trottatore. Quando si comincia a investire nei giovani (cavalli in questo caso), è lì che uno sport cresce davvero.

La situazione oggi è molto diversa, soprattutto perché l’attenzione del pubblico è quasi completamente scemata. Mentre, in altri Stati, le corse sono un momento di convivialità vissuto da tutta la famiglia, in Italia sono state quasi totalmente accantonate.

Ovviamente, con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, avremo una brusca frenata per quando riguarda la selezione dei puledri e la loro importazione, la maggior parte dei quali, infatti, dovranno essere inviati al fronte. Stessa cosa nel 1942, quando le corse verranno bloccate a causa del secondo conflitto mondiale.

Tuttavia, piano piano, si arriverà al 1944, quando verrà alla luce il grande purosangue Tenerani, futuro padre del nostro protagonista Ribot.

Una leggenda non troppo scontata

Per celebrare questo grande atleta, Sky Sport ha realizzato un bellissimo documentario da circa 40 minuti, dove, attraverso varie interviste e foto e video di repertorio, Francesco Pierantozzi (giornalista e voce narrante) ci racconta di come è nata la leggenda di Ribot e di quanto abbia influenzato l’Italia.

Federico Tesio
Federico Tesio

Tenerani nacque nella scuderia Tesio-Incisa di Dormelletto, per mano di Federico Tesio, che lo allenerà per competere negli ippodromi dove dimostrerà di essere un grande campione. Nel 1949, fu destinato alla monta e, in coppia con la purosangue Romanella, ci regalò un fuoriclasse. Come abbiamo imparato, le linee di sangue sono fondamentali e quella di Ribot venne interamente scoperta dal suo allevatore. Tesio era, appunto, il centro dell’ippica e questo suo prodotto contribuì a dimostrarlo ancora una volta.

Il puledro nacque in Inghilterra nel 1952, ma non era sicuramente il più bello dell’allevamento. Tesio, com’era solito fare, scelse il suo nome dalla storia dell’arte, mantenendo l’iniziale del nome della madre. Ed ecco come venne scelto Théodule Ribot, acquerellista francese mezzo sconosciuto che divenne famoso proprio grazie al cavallo.

Pur non essendo il massimo nell’aspetto, Ribot aveva una grandissima forza: riusciva a immagazzinare un’enorme quantità di aria (26 litri a ogni ispirazione, il 30% in più rispetto a ogni altro cavallo). Spiegano, infatti, che il suo “passaggio di cinghia” (la “striscia” elastica che passa sotto la pancia del cavallo per mantenere ferma la sella sulla schiena) era enorme.

Con questa struttura fisica molto particolare e un cuore incredibile, il giovane purosangue aveva bisogno di altri 4 o 5 cavalli (detti “battistrada”) che lo allenassero, perché uno non avrebbe mai resistito da solo. C’erano sicuramente puledri morfologicamente migliori, ma Ribot mostrava dei mezzi da campione che porterà anche in corsa: su 16 gare disputate tra il 1954 e il 1956, rimase sempre imbattuto; record impensabile per qualunque altro animale. Vinse in Italia, in Inghilterra e si aggiudicò per ben due volte di seguito la corsa più importante d’Europa: l’Arc de Triomphe, a Longchamp.

Il grande purosangue morirà nel 1972, nel Kentucky, dove faceva lo stallone, lasciando un vuoto enorme nel cuore dell’Italia. Comunque, due dei suoi discendenti vinceranno a loro volta la corsa di Longchamp, continuando per un pezzo la leggenda del loro padre.

Ribot e Federico Camici
Ribot e Federico Camici

Il documentario “Ribot, l’imbattibile”

Nel documentario, vengono fatti bellissimi paralleli con figure fondamentali di altri sport, come Coppi e Bartali, a sottolineare come anche questo meraviglioso animale abbia aiutato a risollevare il morale di un’intera Nazione. L’Italia era da poco uscita dalla guerra e finalmente poteva rialzare orgogliosa la testa.

Inoltre, viene intervistata anche la figlia del fantino di Ribot, Enrico Camici, che racconta alcuni interessanti retroscena di quegli anni d’oro.

Tutti gli allevatori italiani vogliono far conoscere la storia di questo grande campione alle nuove generazioni e sperano di trovare un erede altrettanto degno che possa riportare tutto il pubblico (e non solo i pochi appassionati) a seguire le corse la domenica.

Oggi abbiamo un fantastico fantino italiano (naturalizzato inglese), Lanfranco “Frankie” Dettori (anche lui intervistato), che potrebbe aiutare a far sognare nuovamente l’ippica.

Il futuro però non è certo e, come per tutto, solo il tempo ci dirà la verità. Intanto, per chi ama i cavalli e chi è semplicemente curioso, consiglio di guardarsi la storia di questa leggenda, soprattutto per aiutare le persone che ancora credono in questo progetto.

 

Articolo scritto da Cristina Castagnola

Appassionata di equitazione, fotografia e tanto amore per qualunque sport. Tutto ciò che riguarda l’arte, in ogni forma, occupa un posto importante nel mio cuore.
Laureata in lingue in triennale e in comunicazione in magistrale (work in progress).
Nessuna paura di faticare, in Liguria siamo abituati a lottare anche contro la nostra stessa terra.

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