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Lo Scudetto degli altri

Non esiste unità di misura della vittoria, ma esiste una dimensione.

Esistono vittorie che hanno un respiro lungo, un corpo, un’anima, vittorie con volume e intensità quantificabili e tangibili. Esistono le vittorie di tutti ed esistono vittorie che valgono solo per pochi.

Tanto più nel Calcio in Italia, con le sue mille diversità, i suoi colori, il suo folclore e il tanto agognato e passionale provincialismo.

E nel Calcio d’Elite, quello di pochi ed eletti, quello visto in TV e fatto respirare solo attraverso uno schermo, quello che oggi viene valutato solo attraverso il numero dei pixel come una realtà virtuale, ecco quello, vincono sempre gli stessi. Hanno vinto sempre gli stessi.

E quando pensiamo ad un monopolio la nostra mente annulla la fantasia, si appiattiscono i colori, tutto appare bianco o nero, a volte con tinte di rosso e qualche blu di una sola tonalità.

E nel calcio che viene ricordato, quello del dopo guerra le vittorie di Juventus, Inter e Milan sono certamente le migliori ma nella loro percezione sono tutte uguali.

Forse solo il Trap ci ha regalato momenti da ricordare con più stupore, offrendo squadre istrioniche e da record. Forse solo Sacchi ci ha regalato una novità e qualche curva in questa autostrada deserta che conduce all’albo d’oro della Serie A.

In questo contesto però esistono vittorie che non hanno copione prestampato, film da oscar o serie tv dal finale non scritto e da personaggi inaspettati, vittorie che formano l’arcobaleno, vittorie dal valore popolare e sociale, che rendono quel calcio accessibile, fantasioso, colorato e affascinante.

Da queste vittorie capisci che ce ne sono di migliori ma che non ne esistono uguali.

Perché quelle vittorie non godono del pronostico ma della somma di più fattori.

Sono sfide nelle sfide.

Storie da raccontare come esempi ed esempi da non raccontare per eccentricità e impossibilità nella replica.

Segnate dal contesto in cui sono nate e caratterizzate da personaggi sottovalutati, tutte figlie di maestri tecnici eccezionali per fiuto e gestione del gruppo, generate da ascese economico-politiche locali e da un desiderio territoriale bollente.

Riduciamo il campo e prendiamoci la fetta con più colore della storia. Dove tutto sembrò possibile, dove l’Italia appariva come la Bengodi del Calcio Mondiale dove realizzare i propri desideri e dove i desideri prendevano forma dalle Alpi a Lampedusa.

Gli Anni ’80 ed il loro confusionario andamento, fino al 1991.

Scudetto Roma 1983

Se tutte le strade portano a Roma, Roma è l’origine di tutte le affermazioni consolari dell’era contemporanea. La Roma del 82-83 aprì le danze del più del ballo delle vittorie della Serie A.

Quello scudetto aprì un decennio rivoluzionario nel mondo del calcio italiano, dove 7 squadre si alternarono in vetta, con realtà diverse e che avrebbero coperto tutta la penisola.
Non era mai accaduto, non sarebbe accaduto nemmeno nei successivi.

La vittoria della Roma diede vita ad una festa popolare, un ritorno alla gioia di un popolo sportivo, allo sfogo euforico di una città piena di difetti ma che prende ogni singolo centimetro delle tue emozioni, fino a ipnotizzarti.

Ma come tutte le feste esagerate, dopo ci fu bisogno di riposo. Ma il trend era partito, la diffusione contagiosa dell’entusiasmo colpì una zona ricca di vette ma avara di successi come il Nord Est, versante lavoratore e produttivo, e lo fece nella città dell’Amore e della Musica, l’unica di quel territorio ad alzare un trofeo nella Storia.

Scudetto Verona

Verona diede continuità al sogno e aggiunse un tassello al percorso che, dopo un’altra breve sosta, scoppiò come una bomba nella città più rumorosa e indisciplinata d’Italia, con le sue contraddizioni e le sue unicità, Napoli.

Ed una città così non può vincere in modo normale, se lo fa si avvale del migliore, perché lo devono sentire tutti, perché il rumore deve arrivare anche a chi pensava di poterlo smarcare o snobbare.

Scudetto Napoli

E dal mare arriviamo al mare, quello di Genova, quella giovane e talentuosa, quella blucerchiata, che in modo rampante, virtuoso e pieno di personalità stupì tutti e chiuse il cerchio.

E il cerchio è una figura “perfetta”, senza angoli, senza ombre e punti bui, nel quale la luce fu talmente accecante che non fu replicabile, o meglio, non fu permesso che si potesse ripetere.

Scudetto Sampdoria 1991

Un decennio in cui l’interruttore fu a portata di tutti, anche dei bambini, dove la partecipazione e l’identificazione popolare toccò il massimo, dove non importava cosa stessero facendo fuori confine, il meglio era semplicemente sotto casa.

Nel Decennio in cui alzammo la Coppa del Mondo e ne ospitammo una lo “Scudetto degli Altri” ci disse perfettamente chi siamo.

Ci da le risposte di ieri ad alcune domande di oggi tra verità e contraddizioni, tra errori e mancate occasioni, tra furti e silenzi, tra condanna del costume popolare ed esterofilia globalista, tra chi sogna senza speranza e  chi spera che il sogno italiano torni ancora.

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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