Le Olimpiadi di Parigi 2024 hanno segnato, a modo loro, la storia. Come, del resto, hanno fatto tutti i Giochi precedenti e come, probabilmente, faranno tutti i Giochi successivi. Che, però, l’abbiano scritta in modo positivo o negativo, ai posteri l’ardua sentenza. Diciamo che le polemiche non sono mai mancate, a cominciare dall’apertura (e addirittura forse ancor prima) fino all’ultimo minuto.
Che sia stato per merito di una federazione, di un’intera Nazione o di un singolo atleta, diciamo che la famosa e controversa Rule 50 (la regola per cui è vietata, durante i Giochi Olimpici, qualsiasi tipo di manifestazione politica, razziale, religiosa ecc) non è sempre stata rispettata.
Gli sportivi si stanno sempre più redendo conto di quanto possano influenzare le generazioni, passate e presenti (e future), attraverso le loro parole. Perciò, trovo più che giusto che chi se la sente, chi ha qualcosa da sputare fuori e chi vuole lottare per i propri diritti, lo faccia durante uno degli eventi mondiali più seguiti a livello mediatico. Sebbene questa sia una mia semplice opinione, evidentemente non è del tutto condivisa dal CIO (Comitato Internazionale Olimpico).
Oggi tratteggeremo la storia di qualcuno che ha dovuto lottare non solo contro un paio di ideologie bigotte, bensì anche contro il suo stesso fisico. La protagonista è l’amazzone danese Lis Hartel.
Lis Hartel, chi era costei?
Pare che alle Olimpiadi francesi ci sia stata per la prima volta una piena parità di genere, con tante ragazze partecipanti quanti i ragazzi. Ben sappiamo, però, (soprattutto noi atlete) che non è sempre stato così. Anzi.
L’idea del padre delle cosiddette ‘Olimpiadi moderne’, Pierre de Coubertin, era che la donna dovesse semplicemente limitarsi a incoronare i vincitori, ovviamente maschi, e a preparare loro il bentornato a casa. Per fortuna, almeno da questo punto di vista, ci siamo (un po’) evoluti. La strada è ancora piuttosto lunga, soprattutto per il recente ingresso in questo mondo di atleti appartenenti alla comunità LGBTQ+.
Chi sono state, dunque, le pioniere di questa enorme battaglia che, oggi, ci ha portato a competere anche in sport solitamente considerati prettamente maschili (come il pugilato)? Alice Milliat è stata una di loro. Ha combattuto con le unghie e con i denti contro il CIO, nel 1922, per far accettare le donne alle Olimpiadi, arrivando addirittura a organizzare i Giochi Mondiali Femminili, che ebbero un successo a dir poco incredibile.
C’è stata, però, anche un’altra grande che non solo ha sbaragliato la concorrenza, ma quest’ultima era composta quasi totalmente da uomini. Le donne furono ammesse per la prima volta al dressage nel 1952, grazie proprio a Lis Hartel. Infatti, gli sport equestri sono gli unici a non avere, ancora oggi, una separazione di genere all’interno delle diverse discipline. Non è stata solo la prima donna a competere per una squadra equestre alle Olimpiadi, bensì ottenne anche la prima medaglia femminile, nonostante una gravissima disabilità fisica: Hartel, a 23 anni, venne colpita dalla poliomielite, malattia che la portò molto vicina a una totale paralisi.
A discapito di tutto, questa sua formidabile carriera la consacrerà nell’Olimpo dell’equitazione, diventando un esempio per tutte le donne e le persone con disabilità.
Ha contribuito anche a riscrivere la storia dello stesso sport, riuscendo ad aprire il primo centro di equitazione terapeutica in Europa.
“Vita, morte e miracoli”
Lis Hartel nacque nel 1921 in Danimarca, dove è cresciuta insieme ai cavalli, alla sorella e alla madre. Iniziò con il dressage, avvicinandosi anche al salto ostacoli. Si sposò a 20 anni, con l’uomo da cui ebbe due figli. Tuttavia, in attesa del secondo, la colpì proprio la poliomielite. Si tratta di una malattia infettiva causata da un virus che colpisce il sistema nervoso centrale e può causare paralisi e meningite.
Molti, giustamente, avrebbero abbandonato tutto, a volte anche la stessa voglia di vivere. Però, soprattutto chi va a cavallo è abituato a cadere, a prendersi calci e morsi, ha paura solo di mollare e di non potersi più appoggiare su una sella. I cavalli sono grandissimi maestri, che insegnano a non lasciare la presa nemmeno quando ci abbandona l’ultima speranza.
Così, Hartel decise (con grandissima fatica) di riprendere da dove si era interrotta: cominciò, quindi, un lunghissimo percorso di riabilitazione, ostacolata anche da un difficile periodo storico dal punto di vista medico. Negli anni ’40, infatti, non c’erano a disposizione particolari supporti fisioterapici o cure e il vaccino venne introdotto solamente nel 1950, riducendo drasticamente i casi di polio in tutto il mondo.
Hartel, però, continuò comunque a pensare in grande e a puntare a un ambizioso obiettivo: le Olimpiadi. La strada era tortuosa e perennemente in salita, nonostante l’aiuto della madre, del marito e della sua ‘compagna di squadra’, Jubilee, un incrocio tra purosangue e Oldenburg. Abbattendo tutti i pronostici funesti, appena tre anni dopo la malattia (della quale nessuno era a conoscenza a livello internazionale), Hartel gareggiò ai Campionati Scandinavi nel ’47, aggiudicandosi un fantastico secondo posto.
A dispetto del reale miracolo che stava compiendo, ai Giochi di Londra del 1948 le donne ancora non potevano competere. Dovette, perciò, aspettare altri quattro anni perché questa (inutile) regola venisse definitivamente eliminata.
Finalmente, alle Olimpiadi di Helsinki 1952, Hartel potè rappresentare la propria Nazione, portando addirittura a casa un insperato argento nel dressage. Fu la prima donna in assoluto a conquistare una medaglia e non solo: si narra che il vincitore, il cavaliere svedese Henri Sant Cyr, la prese in braccio da Jubilee e la portò con sé sul podio, segnando un ulteriore storico momento dello sport (olimpico).
E dopo?
Lis Hartel non si fermò e continuò a vincere, partecipando anche alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1956 (un altro argento). È diventata un’eroina nazionale, anche grazie alla sua lotta per i diritti delle persone con disabilità.
L’amazzone morì nel 2009, a 87 anni, di cui 75 nel mondo equestre. Si è battuta come una leonessa per tornare a fare ciò che amava e, per questo, è la perfetta icona delle Paralimpiadi e di tutte coloro che, ancora oggi, devono spezzarsi in due per ottenere il minimo indispensabile.
È per merito di persone come Hartel che il mondo sta cominciando a girare per il verso giusto. Con, forse, qualche arresto… Eppur si muove.
Storia di Lis Hartel: https://www.equestrianinsights.it/lis-hartel-icona-di-tenacia-lotta-per-luguaglianza-sogni-realizzati/
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