La quiete prima…
New York, US Open. Sono senza dubbio settimane impegnative quelle che Jannik ha affrontato prima di scendere in campo nella Grande Mela.
Un’Olimpiade, dichiarata più volte come l’obiettivo dell’anno, a cui ha rinunciato per problemi di salute, poi uno spiraglio di luce – o come direbbe qualcuno, la quiete prima della tempesta – con la vittoria di Cincinnati fino all’imminente annuncio, con un post su Instagram del tennista, di essere risultato positivo al doping ad aprile – sebbene “per meno di un miliardesimo di grammo” – e le accurate indagini che, con una “piena collaborazione di Sinner con l’ITIA”, si sono concluse con la sua innocenza.
Si è aperto un vero e proprio dibattito nel mondo del tennis, tra chi ha creduto o meno all’innocenza di Sinner e chi si è speso in critiche sul trattamento che ha avuto.
… e dopo la tempesta
La situazione non era di certo emotivamente favorevole per Jannik che all’indomani del caos mediatico scoppiatogli in mano era come tornare a giocare per la prima volta. Eppure, lui era lì, a chiedere a sé stesso di farcela.
E giorno dopo giorno, partita dopo partita, punto dopo punto, set dopo set, Sinner ha conquistato la finale del suo secondo Grande Slam, dopo essersela vista con un immancabile, determinato e caparbio Medvedev, fino a vincere il titolo degli US Open danzando sul cemento newyorkese contro il californiano Taylor Fritz che, peraltro, aveva dalla sua un instancabile, sfegatato pubblico americano.
Alla fine dei giochi
Questa vittoria più che mai è sua. Da tifosi, amanti o appassionati del tennis, o dello sport in generale, dobbiamo fare uno, due, tre (?) passi indietro davanti alla resilienza, alla fiducia, all’educazione, al rispetto e alla discrezione di Jannik Sinner e riflettere.
Lo sport, alla fine, non è altro che la proiezione di un concentrato di vita. Possiamo declinarlo in tante sfumature, possiamo cadere e restare a terra per tanto tempo, possiamo risalire e poi crollare di nuovo, come un ruspante e nauseante giro sulle montagne russe, ma l’importante, alla fine dei giochi, è risalire con una rinnovata e ritrovata consapevolezza di chi siamo davvero.
Jannik ha sempre saputo chi è e chi è al suo fianco non ha mai avuto dubbi su di lui. Per chi non lo avesse saputo, ha dato a tutti un’onesta e genuina lezione.
“Fuori dal tennis c’è una vita”, dice durante la premiazione “è importante mettersi intorno delle persone che ti conoscono e che accettano come sei di persona”.
Record professionali, vittorie personali
Possiamo ricordare questa finale come un traguardo sportivo e allora Sinner è il primo azzurro a vincere due Grandi Slam in una stagione, ma possiamo ricordare questo trionfo anche come quello di un ragazzo che ha creduto in sé stesso, che è sceso in campo prima con il peso di una bomba ad orologeria che sarebbe scoppiata da un momento all’altro e poi con gli occhi di tutti puntati addosso, magari pronti a vederlo cadere.
Ma il suo atteggiamento non è stato quello di voler dimostrare qualcosa a qualcuno, né di insegnarlo, eppure guardarlo giocare con la sua determinazione e la sua proverbiale calma serafica ha ancora una volta insinuato nei suoi spettatori la consapevolezza che in campo non scende solo il tennista, ma anche l’uomo, il ragazzo che ha fatto le sue scelte tempo fa e che le rispetta, per sé, per la sua famiglia, per i suoi collaboratori, per il suo sport.
Thank You, Jannik Sin.