La tragedia del Nurburgring nel 1976
Oggi la sicurezza in pista per i piloti di Formula Uno è notevolmente migliorata rispetto anche solo a vent’anni fa, ma purtroppo ci sono voluti alcuni degli incidenti peggiori della storia per incrementare la sicurezza e incolumità fisica dei piloti, il primo incidente che fece da apripista per lo sviluppo dell’equipaggiamento fu quello al Nurburgring di Niki Lauda nel 1976.
Incidente storico per la dinamica, ma soprattutto per l’insegnamento di resilienza, coraggio e umanità che ancora oggi trasmette, sia da parte dell’austriaco Lauda che da quella dell’italiano Arturo Merzario, il quale senza pensarci due volte fermò la sua monoposto a bordo del tracciato e si gettò tra le fiamme per aiutare il collega intrappolato nell’inferno sceso in pista.
La monoposto di Luda finì contro il guardrail innescando un piccolo incendio, questa dopo dei testacoda rimase al centro del circuito e le altre auto che arrivavano dalla curva a tutta velocità, per i riflessi tenuti pronti dai piloti grazie all’allenamento, riuscirono a schivare la Rossa. Tra queste però due colpirono la monoposto incidentata, proprio mentre l’austriaco stava per liberarsi dalle cinture di sicurezza, ulteriore impatto che fece così espandere l’incendio e fu in quel momento che Merzario, allora parte della scuderia March, compì l’impresa eroica.
L’Italiano arrivò alla monoposto di Lauda e immediatamente provò a slacciare le cinture per liberare il collega, purtroppo però il pilota austriaco si dimenava preso dal dolore e dall’adrenalina non facilitando la manovra di Merzario, il quale dichiarò poi che paradossalmente riuscì ad aiutarlo davvero solo quando Lauda cominciò a perdere conoscenza, agevolandogli i movimenti per slacciarlo.
Dichiarazioni da brividi che ancora oggi racchiudono l’essenza del coraggio che serve per distinguersi in uno sport del genere, assieme al ritorno in pista di Lauda dopo soli 42 giorni.
Tra passato e presente c’è di mezzo l’innovazione
L’incendio del Nurburgring rimane nella storia anche per la motivazione che ha dato nel progettare tute nuove che potessero ridurre i danni in caso di incidenti come quello, partirono molti studi poco dopo proprio attraverso la dinamica di quell’incidente e nel 1979 fu indossata una tuta molto più pesante rispetto a quella che si indossava fino a due anni prima, una tuta a cinque strati progettata assieme alla NASA fatta con materiali simili a quelli usati per le tute degli astronauti al tempo.
Un incontro tra due mondi che da sempre ricercano e ricreano l’impossibile possibile, fu una collaborazione storica e da allora fino ai giorni nostri la NASA ha influenzato molto l’equipaggiamento e il comfort alla guida nelle monoposto di Formula Uno.
Basti pensare che Lauda rimase nelle fiamme per 55 secondi a circa 800 gradi, subendo ustioni su tutto il corpo e soprattutto ai polmoni, quelle che preoccupavano di più riguardo allo stato di pericolo di vita in cui riversava il pilota, un altro incidente simile ai giorni nostri è stato quello di Roman Grosjean a Bahrain 2020. Il francese rimase quasi 30 secondi nelle fiamme, bloccato da un piede incastrato, eppure uscì dall’abitacolo con “soltanto” un’ustione alla mano.
Cosa è cambiato? Cosa ha fatto davvero la differenza? Indubbiamente i secondi, che in pista sempre risultano decisivi, ma specialmente la tuta che oggi è fatta di un materiale molto leggero, anche per questioni di comodità rispetto al tutone a cinque strati degli anni ’80, chiamato Nomex.
Questo materiale è capace di isolare il calore dal corpo del pilota, la tempistica deve essere di circa 12 secondi come stabilito dalla FIA, a patto che non avvenga, in più, uno sbalzo di temperatura di almeno 24 gradi tra interno d esterno, altro fattore tenuto sotto controllo dal materiale stesso. I piloti infatti indossano anche biancheria ignifuga speciale, le prime sperimentazioni fatte con la NASA hanno portato all’impiego di materiali a cambiamento di fase, così chiamati perché assorbono e rilasciano calore sia in situazioni di caldo che di freddo, infatti la rivoluzione sta nello sfruttare le caratteristiche base della materia, facendo così sciogliere e solidificare il materiale rendendolo intatto con la temperatura tenuta attorno al punto di fusione.
Tra l’altro attraverso test fatti con i simulatori è stato dimostrato che il comfort generato grazie a certi materiali migliora anche le prestazioni nei giri di pista, per il ritmo cardiaco basso che viene preservato dalla temperatura più bassa, tenendo conto che un’auto da corsa raggiunge circa i 100 gradi Fahrenheit e che anche durante la gara, quindi, il pilota è soggetto ad alte temperature.
Altri risultati vincenti ottenuti dall’impegno del dream team F1 e NASA ha portato a migliorie dei sedili che montano le monoposto, attraverso studi portati avanti sulla forza di gravità da una parte e i dati riguardo la situazione di forza G presente in pista e soprattutto in curva, forniti dall’altra.