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Hanno ucciso lo Stopper

I cambiamenti e le evoluzioni non sempre quando si compiono portano miglioramenti. 

La prima di non so quante puntate dedicate alle trasformazioni che il calcio ha subito negli ultimi 25 anni.

Per colpa di chi, di cosa e perché ma soprattutto in nome di qualcosa che in modo subdolo ha voluto inserire il concetto di “Giusto”.

Puntata 1

La miglior difesa è l’attacco.

Se la palla ce l’abbiamo noi gli avversari non possono segnare.

Tutto è iniziato così.

Verità prive di verità o perlomeno di fondamento statistico tangibile, perché se la vittoria è il riscontro pratico del successo, le prestazioni trovano nella loro costruzione la loro oggettività.

Al tempo stesso se vogliamo utilizzare la vittoria come strumento di analisi, la statistica ci aiuta a confermare che chi gestisce il miglior possesso palla non ottiene la miglior difesa ma chi subisce meno gol ottiene la vittoria finale.

L’attualizzazione della fase difensiva e lo snaturamento degli interpreti al servizio di un calcio “giusto”. La più grande amarezza che il calcio moderno e le scuole di pensiero tecnico internazionale sono riuscite a concepire.

Perché se il calcio degli ultimi 25 anni ci ha consegnato intensità, aggressività e tasso tecnico individuale medio più alto ed efficiente ci ha tolto alcuni fondamenti di interpretazione dei ruoli che non possono essere né sostituiti né tanto più destituiti.

Questo ha ucciso lo Stopper.

Il Difensore con la D maiuscola, il giocatore che ogni attaccante teme, l’avversario che è facile da studiare ma che sai ti creerà problemi, il calciatore attento principalmente a generare difficoltà e non a trovare soluzioni.

Ma lo Stopper era una soluzione stessa.

Era colui che sapeva prendersi le responsabilità e che sin dal primo minuto sapeva di dover accettare il duello. A prescindere dallo sfidante.

Per lui non ci sarebbe mai stata gloria. Se avesse vinto la sfida avrebbe fatto il suo dovere, se avesse perso sarebbe stato il problema.

Il miglior amico del Portiere con il quale condivideva il folle amore per la propria porta e avrebbe visto quella avversaria solo durante un calcio d’angolo o di punizione.

Un rude con il cuore grande, un egoista nel ruolo ma un altruista nel raggiungere l’obiettivo.

Un calciatore con spirito agonistico sopra la media, doti tecniche individuali scarse, muscolarmente e atleticamente preparato, che si esalta nello scontro fisico e nel contatto.

Veloce, roccioso, istintivo ma al tempo stesso metodico nello studiare l’avversario ed i suoi punti deboli.

https://www.youtube.com/watch?v=bctRrchKspo

Lo Stopper, o il marcatore puro, del pallone non gliene fregava proprio niente.

O perlomeno gli fregava quanto bastasse per essere sradicato dalla vicinanza della punta rivale.

Lo Stopper dava il segnale della riscossa in un momento di difficoltà e per noi Italiani ha sempre rappresentato un’identità che non ci aiutava a vincere le partite, le vinceva.

Le vinceva con il ghigno, con la grinta, con l’astuzia e la provocazione, le vinceva con aggressività e voglia di combattere.

Annullava per vincere.

Ma torniamo a oggi.

Partiamo dall’identità.

Attaccante: colui che attacca, che gestisce la pressione, con e senza palla.

Centrocampista: colui che presiede il centrocampo, nella sua interpretazione totale.

Difensore: colui che difende. Punto.

Perché se i primi due ruoli hanno nella loro descrizione un ampio raggio di interpretazioni, il terzo non può esser equivocato. Il primo scopo, e forse unico (se dovessero leggere degli allenatori moderni mi metterebbero alla gogna immediatamente…), è quello di evitare che la squadra avversaria si avvicini alla propria porta, obiettivo primario difendere, infrangere e bloccare la manovra e le iniziative degli antagonisti.

Queste descrizioni sono l’identità del ruolo, il DNA, la mappa genetica di cui deve essere in possesso ogni giocatore che sceglie quella posizione.

Ma se per attaccanti e centrocampisti negli ultimi 25 anni è cambiata solo la dimensione nell’evoluzione del gioco, per i difensori è stato stravolto il codice genetico.

La nuova dimensione del gioco del calcio è stata contagiata, in tutte le componenti, da un virus metodologico che ha sradicato l’idea cardine che determinava la qualità dei giocatori.

I tecnici si sono fatti abbagliare da teorie globaliste e non hanno saputo contestualizzare, gli arbitri hanno applicato un metodo di giudizio proiettato verso la tutela esagerata dell’attaccante, gli atleti hanno scelto la forma più che la sostanza.

Abbiamo chiesto agli operai di non sporcarsi più le mani chiedendogli di lavorare ancora nella stessa fabbrica.

Un calcio che ha voluto aumentare le responsabilità dei difensori nella fase di possesso senza considerare l’importanza di quelle nella fase difensiva.

Le nuove metodologie hanno scelto di impiegare il tempo di allenamento verso la partecipazione attiva nella costruzione del gioco e non nella migliori scelte da compiere mentre il proprio avversario varca la metà campo.

Si possono riconoscere i cambiamenti del gioco nelle forme ma è altrettanto inequivocabile che la sostanza a distanza di cento anni è sempre la stessa. Il pallone viene giocato dagli uomini, lo stesso che lo calciano, lo deviano e lo mettono in rete, e se il riferimento è lui, lo sono ancora di più gli uomini più pericolosi che potenzialmente possono farlo diventare un pericolo.

E il pericolo non è solo una situazione da interpretare, è un uomo, che va scelto, studiato, annullato.

Lo Stopper era il cecchino senza fucile. E oggi, che a qualcuno piaccia o no, ne siamo incredibilmente orfani.

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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