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Guardiolismo e tiki taka, verità relative

Partiamo da due presupposti.

Il primo. Pep Guardiola è quasi certamente uno dei migliori tecnici d’elite del panorama calcistico internazionale. Forse il migliore. Per stile, preparazione, lettura, capacità di comunicazione, gestione delle risorse, individuazione di giocatori funzionali al progetto tecnico.

Il secondo. La scuola olandese degli anni ’70 e la sua conseguente evoluzione crujffiana in terra catalana è ciò che i filosofi del calcio (se mai esistessero…) chiamerebbero “l’utopia del possesso vincente”. Un sistema educativo tecnico-tattico che valorizza le capacità individuali al servizio del disegno squadra.

Detto ciò, con convinzione e altrettanto dubbio (se si è troppo convinti di qualcosa alla fine non la si mette all’occorrenza in discussione) si può asserire che entrambi i presupposti abbiano creato delle verità relative sulla visione generale di ciò che noi tutti riteniamo le basi del calcio moderno e di ciò che un giocatore di qualsiasi ruolo, estrazione, origine, nazionalità debba fare nel rettangolo di gioco.

Una sorta di individuazione del “giusto” legato all’estetica ed alla non più originale idea dell’obbligatorio atteggiamento propositivo e avvolgente in fase di possesso palla, nonché aggressivo e veloce in fase di transizione.

La coincidenza ha voluto che nel processo formativo si sono inseriti (e chiaramente formati..) giocatori di spessore internazionale e di caratura eccezionale. Questi ne hanno valorizzato gli effetti e ne hanno sovraesposto l’effettiva qualità, posizionando il sistema in una dimensione non corretta.

Forse tutto troppo articolato e poco comprensibile, ma è fastidiosa e relativamente sbagliata l’idea per la quale, oggi, solo chi approccia al calcio in questo modo, possa insegnare e formare, possa commentare e giudicare. Se fosse stata solo una moda, o filone da seguire sarebbe stato tema di discussione invece ha assunto i toni della verità assoluta, del dogma sportivo senza via di scampo.

Il calcio, lo sport, offrono sempre invece verità relative e le ultime stagioni hanno confermato che Guardiola, il Barcellona, la cosiddetta formazione della cantera è solo un modo, come altri, d’interpretare il gioco più bello del mondo.

Questo non apre alla banale accezione del sostenere fortemente la pratica italiana del “Catenaccio”, ma alla più delicata idea che esistono bianco e nero, con i loro contrasti e le loro differenze ma che alla fine vince il grigio, con le sue sfumature e le sue declinazioni.

Come diceva Gary Lineker:

“il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine vincono i tedeschi”

Già i tedeschi, che nonostante i sandali e i calzini bianchi sono riusciti a creare la migliore crasi di calcio totale.

Se mi sentisse Cruijff…

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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