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Atrofia del Tifo, futuro da non scrivere

Ho avuto una grande difficoltà a scrivere questo approfondimento. Vi è mai capitato di non sapere da dove iniziare a scrivere qualcosa? Ecco, in questo caso sono talmente tante le zone da analizzare nello stesso argomento, tutte di particolare rilevanza, che non sapevo quale scegliere per partire.

Il trend degli ultimi anni è stato quello di avvicinare sempre di più lo spettatore al gioco: inquadrature ad alta definizione e del dettaglio, attenzione al singolo ed alle diverse varianti di gioco, preparazione della partita ed all’allenamento settimanale, interventi (pochi) sulle strutture sportive con la prospettiva di avvicinare l’esperienza sportiva a quella del salotto di casa propria.

Stringere sempre di più l’obiettivo dello spettatore verso il campo ed il gesto sportivo allontanandolo dalla partecipazione passionale e dal coinvolgimento che genera la stessa.

Sradicare la cultura popolare legata al mondo del calcio portandola nella dimensione teatrale dell’evento.

Indirizzare la Passione verso la Ragione o, per meglio dire, creare la scatola che controlli l’emozione e non costruire un’educazione alla Passione.

Diciamo innescare volontariamente il processo di raffreddamento tra due innamorati che devono diventare necessariamente amici e devono comportarsi come tali per forza.

La scelta di business è forse quella di proiettare lo spettatore verso una visione sempre più virtuale e non esperienziale, sempre più vicina alla comunicazione social e non tattile, creare la distanza gestibile tra chi compie il gesto e chi ne dovrebbe ricevere le emozioni.

Si sta cercando attraverso una buona causa di ottenere il risultato sbagliato.

L’atrofia del Cuore, il suo ritmo controllato e studiato nelle manifestazioni, la sua certa e prevedibile mobilità.

Ma il Cuore, come il Meteo, ha previsioni e ciclicità ma non garantisce sicurezza.

Si deve puntare a sviscerare lo sport nelle sue componenti e veicolare la passione verso la sana partecipazione, anche sfegatata, urlata e coinvolta, ordinata ed educata, ma scatenata, folcloristica e che lasci eredità. La Passione si può educare ma non si può globalizzare, si deve farla vivere dalla parte buona dell’etnia e non identificare solo ed esclusivamente nella parte scorretta.

L’investimento culturale che soffoca la passione mira verso una direzione sbagliata, cioè nella direzione opposta dello sport.

Uno degli istinti che ci portiamo sin dall’evoluzione della specie è il senso di appartenenza.

L’uomo ha l’esigenza di appartenere, di sentirsi parte di qualcosa che lo riempia o lo copra, che lo faccia sentire importante e che contemporaneamente non lo esponga troppo.

Il calcio ha rappresentato il veicolo ingenuo di questa appartenenza, una facile identificazione senza nulla in cambio e dalla quale poter prendere e pretendere le cose migliori.

Quale miglior strumento di fede? Ciò che segui non ti condanna ma anzi ha bisogno di Te, puoi imprecare con la certezza di non rischiare l’inferno, lo sostieni a prescindere e lo puoi a fare modo tuo. Certo se sei presente hai qualcosa in più e l’effetto è certamente diverso, sia nel bene sia nel male.

Il calcio è lo specchio di gran parte della società civile e dei suoi comportamenti, tutti, non solo quelli eccessivi e fuor dagli schemi, è l’ultimo palcoscenico di manifestazione autentica, di passione popolare senza strato sociale che incredibilmente divide nel tifo ma non nelle intenzioni, che divide nel sostegno ma non nella sostanza, che accomuna l’operaio e l’imprenditore, il padre e il figlio, il sognatore e il razionale.

La prima volta che sono entrato in uno stadio avevo 5 anni, era il 4 ottobre 1987. Roma – Pisa. Una giornata di sole, quasi estiva, una di quelle in cui risaltano i colori.

Ricordo quella giornata come una delle più belle della mia vita. L’attesa che cresceva da casa sino allo stadio, la prima sciarpa comprata da mio padre ad una bancarella, il lungo viale fino all’entrata. Gli odori, i giornali, le scale.

Io ero già tifoso ed al tempo stesso non avevo mai visto una partita dal vivo.

Questo avviene solo per qualcosa che ti tramandano, esattamente come le tradizioni popolari, esattamente come un atto di Fede che spinge chi segue a non farsi domande ma a darsi solo risposte.

Passai la prima ora a fissare gli spalti, la gente, le bandiere, le sciarpe, a imparare i cori, ero elettrizzato dall’ambiente e non dalla partita.

Il resto è quello che sono oggi, uno di quelli che ha investito nella sua passione trasformandola in ragione di vita. Uno di quelli che non ha paura di chi partecipa, uno di quelli che pensa di investire nella passione che spinge gli uomini a unirsi fisicamente e non virtualmente.

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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