Sport Illustrated si fa la domanda, in molti provano a dare una risposta, Nati Sportivi cavalca l’onda.
Ho da sempre sostenuto i sistemi diversificati che difendono la propria identità culturale ma anche quelli che riconoscono i propri errori e li trasformano in opportunità.
Gli americani si chiedono se effettivamente ascoltare sempre la stessa canzone “the song remains the same”, seppur di successo possa essere una tendenza positiva.
Vincono sempre gli stessi ma è altrettanto vero che sono sempre gli stessi che hanno le maggiori possibilità di farlo.
E allora il gap aumenta.
I forti non restano tali, diventano quasi invincibili.
Perché se è vero che vince chi sbaglia di meno e chi ha maggior qualità tecniche, è altrettanto vero che Ronaldo, Dybala, De Ligt si dirigono verso chi può permettersi la loro presenza.
E da questo giro farraginoso ma altrettanto semplice nasce il divario culturale con il sistema Americano che non premia chi ha maggior denaro ma chi fa i migliori investimenti economici e tecnici, tutelati da una distribuzione che rispetta la “democrazia agonistica”.
Questo apparentemente mette a rischio la competitività singola ma garantisce una forza del sistema che in prospettiva fa crescere il livello di tutte le squadre, sotto tutti ii punti di vista.
Se si apre un ciclo, c’è qualcosa che non va.
Le maggiori differenze culturali si evidenziano nella gestione della vittoria. Negli Stati Uniti chi vince ha il merito di averlo fatto e tutti (con standard molto alti, sia chiaro) devono essere messi nelle condizioni di poter competere.
In Europa chi vince, soprattutto dopo, si erge nella posizione del più forte utilizzando la vittoria come strumento per “battere cassa”.
Gli Americani non vedono di buon occhio chi monopolizza la vittoria, anzi cercano in tutti i modi di evitare che questo avvenga (i Golden State Warriors ne sanno qualcosa…) mentre in Europa i grandi club, non solo del calcio, stanno strutturando sempre di più l’esclusività al potere.
Ma in termini di gestione collettiva “i ‘cicli’ sono il segnale di un malfunzionamento del sistema sportivo che li genera.”
Non cerco l’utopia sia chiaro ne rinnego chi vince con merito e continuità.
Ma gli orizzonti non sono solo di chi è dotato di cannocchiale, ma di chi semplicemente è in grado di vedere, osservare, avere una visione.
E gli orizzonti migliori sono quelli condivisi dove si esprimono le possibilità individuali a pari condizioni di partenza, dove il terreno è in pianura e non esistono discese o salite che siano di carattere esclusivamente economico.
Rivendico un sistema che sappia garantire il suo valore attraverso cicli sportivi che nascono dal più bravo e non dal più forte, un sistema che faccia rispettare le regole che ha scritto e che se proprio deve chiudere gli occhi lo faccia con chi ha meno benzina e non con chi tenta di aggirarlo, un sistema che dia garanzie a chi si dimostra corretto e non a chi presenta il vestito migliore.
Non sono uno strenuo promotore dello stile a stelle strisce anzi sono figlio della cultura europea che vede nella diversificazione la migliore arma per crescere e creare nuovi strumenti di competitività, ma sono certo che questo percorso che oggi appare affascinante e remunerativo non premierà nemmeno il singolo e frantumerà quel sistema che assicura la visione del futuro.
La Favola del Re Leone insegna, se i predatori per primi non garantiscono l’equilibrio dell’ambiente, saranno gli ultimi a morire ma comunque non sopravviveranno.
Tutto questo potrebbe essere racchiuso in una singola frase alla quale sono molto legato e che rappresenta la sintesi del tema: Da soli si va veloci ma insieme si va lontano.
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