L’Associazione dei Club Europei di Calcio (ECA) ha pubblicato i dati di un’indagine sul profilo del “Fan of the Future” [SCARICABILE QUI] intervistando 14mila persone provenienti da Regno Unito, Spagna, Germania, Polonia, Olanda, India e Brasile (l’Italia non fa parte di questa indagine…).
Il dato probabilmente più interessante, ed a questo punto più inquietante, è quello riguardante i cosiddetti tifosi a vita, ovvero coloro che supportano e si identificano in una sola squadra, utilizzando il “per sempre”.
Questa categoria, infatti, sta lentamente scomparendo.
Stando ai dati raccolti da ECA la fascia degli intervistati compresa tra i 16 e i 24 anni è così composta: 11% di tifosi accaniti; 14% di appassionati; 29% di persone che hanno spesso di meglio da fare, rispetto a guardare una partita di calcio; 40% senza il benché minimo interesse per il pallone.
Tra i dati da considerare, inoltre, vi è il fatto che il 37% di coloro che si sono dichiarati interessati al calcio, segue più di una squadra, in quanto interessato più alle imprese di un singolo giocatore, piuttosto che ai risultati di un singolo club.
La Trasformazione è quasi compiuta.
In fondo un paio di anni fa Aurelio De Laurentiis ci aveva avvertito e Il Covid è stato solo l’esecutore finale di un processo lento e corrosivo, iniziato qualche anno fa in cui lo il tifoso di calcio si sta trasformando in un follower di giocatori.
In questa metamorfosi, kafkiana per il sottoscritto, siamo di fronte alla erosione della fidelizzazione dei giovani verso un club ed all’identificazione nello stesso solo attraverso i contenuti social.
Insomma per farla breve i giovani sono sempre meno sostenitori di una squadra e sempre più appassionati di contenuti virtuali relativi al calcio senza una particolare identificazione.
Voi direte, è un problema?
Se lo si legge con interpretazione superficiale no, se lo si inquadra con una prospettiva più ampia io credo di si.
La Tecnologia ha consentito l’accesso a contenuti con dimensione internazionale impoverendo il contatto reale con lo Sport, anche e soprattutto quello di alto livello.
Ha impreziosito il valore dei grandi giocatori consegnando ad una platea mondiale le loro qualità spostando l’obiettivo dal singolo per il gruppo al gruppo dipendente dal singolo.
Ultimo esempio in ordine temporale: l’Everton ha aumentato il proprio pubblico (virtuale) di 60.000 unità su Instagram il giorno dell’ufficialità di James Rodriguez.
Che questo sia un problema generazionale è abbastanza evidente.
I Giovani si identificano sempre meno, strutturano in modo sempre meno forte le loro passioni e la responsabilità verso le stesse è labile, seguono le linee digitali e sanno comportarsi “dal vivo” in modo sempre più instabile, sanno cosa vuol dire emozionarsi ma lo fanno sempre meno vivendo in prima persona.
I Giovani esaltano il singolo e le sue caratteristiche, sono sempre più soli nella comunità e non riconoscono le regole necessarie che la muovono.
Contestano ma non reagiscono, si fanno sentire ma non rivoluzionano.
Si fanno influenzare e non interpretano.
Mi viene da dire, quale peggior tifoso e quale miglior cliente.
Tornando allo Sport, in particolar modo al Calcio, inverosimilmente si vedono meno partite ma molti più highlights.
La crescente fruibilità mediatica ha generato un aumento dell’interesse medio ma ha diminuito la visione completa di una gara.
E allora ogni valutazione, convinzione e contestazione è viziata.
E’ parziale e distante dal vero.
Come se si potesse decidere la qualità di un film e dei suoi protagonisti dal trailer, dal titolo o dagli attori e non dal suo svolgimento completo.
Tutti vedono ma pochi capiscono.
Tutti sanno ma pochi conoscono.
Tutti seguono ma pochi si appassionano.
Si cerca riconoscibilità nell’individuo e non nei colori, nel singolo e non nella squadra, generando un sistema instabile e reale nella realtà costruita fuori dallo stadio, dalla partita, dalla prestazione.
Al giovane andrebbe tolta la tastiera? Spento lo Smartphone? No.
Alcune dinamiche non possono essere ne cambiate ne demonizzate, devono essere trasformate in strumenti che uniscano i giovani ad incontrarsi e viversi.
Ai giovani andrebbero insegnate le differenze tra visione virtuale ed esperienza reale, tra singola azione e partita, tra gioco e passione.
Passione che come tale va alimentata, gestita e organizzata.
Perché sentirsi parte di qualcosa, tifare per una squadra, affezionarsi a dei colori da seguire non è necessariamente sintomo di degenerazione o difficoltà sociali.
Perché per scegliere nello Sport e per lo Sport dobbiamo impegnarci a considerare i giovani come protagonisti e non come semplici fruitori da inserire nella tabella del Settore Marketing.
Perché se riuscissimo a formare atleti/tifosi ci aiuterebbe a conoscere, confrontarci e competere.
Come uomini e non come clienti follower.