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Alessandro Spanò, sogno oltre il campo

Spesso ci dimentichiamo che gli Sportivi, quelli di alto livello, quelli che finiscono in TV o che sono sovraesposti mediaticamente sono semplicemente Uomini.

Con le loro storie parallele al campo, con le loro ambizioni personali e con la voglia di emergere fuori, dedicando allo Sport una pagina importante ma non decisiva, sfruttando lo Sport per raggiungere obiettivi che, in questo sistema, sembrano in controtendenza.

Questa volta “Chiamate Sportive” non va in diretta ma riprende un vecchio metodo e ruba qualche minuto ad Alessandro Spanò che con la sua scelta ha stupito, appassionato e dato speranza a chi crede, come me, che “chi sa solo di sport non sa nulla di sport”.

Un ragazzo che ama il calcio, arriva dove pochi sono riusciti ad arrivare, convince, vince, si prende la fascia da capitano in una città importante, rappresentativa e calda come Reggio Emilia.

Sceglie di lasciare a 26 anni e dedicarsi ad altro, di dedicarsi a se stesso, al suo futuro ed a quella prospettiva che troppo poco spesso gli atleti di alto livello, in particolare i calciatori, forniscono a se stessi.

Mi sono preso piccole curiosità proprio come faccio con “Chiamate Sportive” con Alessandro, talento fuori e dentro il campo.

Perché Alessandro ha scelto il Calcio?

Perché fortunatamente rientro ancora nella generazioni dei pomeriggi in oratorio, dove si trascorrevano intere giornate con gli amici, una palla e due bottiglie come porta.

La Partita più bella che hai giocato e quella che rigiocheresti?

Ognuna mi ha fatto vivere emozioni differenti: la tensione del primo esordio, l’orgoglio della vittoria nella sera del centenario, la carica dei play off fino alla gioia della promozione in B, dopo tutte le difficoltà della serie D. Le rigiocherei tutte, perché è il percorso che mi ha portato fino a qui.

Il Tifo più caldo che hai incontrato e quello contro il quale avresti voluto giocare?

Reggio ha un tifo incredibile. E’ molto “caldo”, anche fuori dal campo, e questo ti permette di diventare parte della città. Dopo sei anni mi sento veramente Reggiano. E’ stato un peccato con poter aver il pubblico per la finale con il Bari, sarebbe stata un’atmosfera unica.

Lo Stadio che manca alla tua carriera?

Da brianzolo e con un’infanzia da milanista direi San Siro (Meazza).

L’avversario più forte e quello con il quale avresti voluto giocare?

Alexandre Pato, un extraterrestre.

Il compagno al quale ti affidi ad occhi chiusi?

Da capitano ho instaurato un rapporto molto stretto con tutti. Dopo un anno insieme a questa squadra avrei messo la mia vita nelle loro mani.

Molti ti hanno dato del folle, tu come definisci la tua scelta controtendenza?

“Disruptive Innovation” è il secondo master. Credo che il nome si addica alla scelta: dirompente, contro gli stereotipi non solo verso i calciatori, ma verso un sistema che classifica chiunque solo per la professione.

C’è qualcosa che cambieresti nel sistema calcio?

Mi auguro che i valori propri dello sport vengano messi sempre in primo piano, ora e in futuro.

Cosa porti con te dello Sport e come ha influenzato la tua vita?

Tutto, è parte di me. Lo sport è una metafora perfetta della vita: le difficoltà, le gioie, i sacrifici, i rapporti con i compagni. Sono cose che rimangono nel cuore per sempre.

Sai questo è un blog che si occupa di Sport a 360° e allora dimmi 3 sportivi (non calciatori) che rappresentano per te l’esempio da seguire.

Alex Zanardi, per la sua forza contro ogni avversità. Jesse Owens, perché lo sport combatte e vince contro le discriminazioni. Usain Bolt, perchè con il suo sorriso costante ci ricorda che lo sport è felicità.

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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